Italian text
PRIMO INTERMEDIO
[Precede il primo atto]
Calata la tela si vide la Religione in una nuvola vicina a terra, in mezzo ad alcune Virtù celesti, potendosi anco far comparire sovra un carro trionfale, dal quale pendino spoglie ed insegne turchesche.
La sinfonia fu di vari strumenti, che nel terminare di essa rappresentavano il suono di più trombette che inviti all'armi.
In tanto i Cavalieri da più parti della scena che rappresentava Livorno, e nel fondo il mare con le sue torri e fanale, uscirno l'un dopo l'altro fin al numero di otto Cavalieri; ed i primi quattro dalle più vicinw strade, e così cantorno:
Primo Cavaliere Deh qual voce al cor discendemi?
Secondo Cavaliere Deh qual duce all'armi invitami?
Terzo Cavaliere Chi d'onor il petto accendemi?
Quarto Cavaliere Chi mi sprona e a gloria incitami?
Tutto il Coro de' Cavalieri
Ben da te le grazie scendono,
santa fé, ch'in noi risplendono.
Due voci
Vedi omai che s'avvicinano
Tuoi guerrier che qui t'onorano,
che devoti a te s'inchinano,
il tuo nome in terr'adorano,
che n'inviti al regno stabile,
Diva eccelsa ed ammirabile.
La Religione, sola
Accingetevi omai, prodi guerrieri,
a grandi imprese, ad onorati affanni;
tutti movete, invitti cavalieri,
a debellar i perfidi Ottomanni:
stansi dov'è periglio i pregi veri,
sia vostro oggetto il soggiogar tiranni;
e, ritogliendo ai Traci ingiuste prede,
farv'immortali e dilatar la fede.
Coro de' medesimi Cavalieri che in segno di giuramento messero mano alli stocchi.
Con i cor le lingue giurano
tua difesa audaci prendere,
sparger sangue omai non curano
e col ferro ogn'or difendere
i tuoi tempi, ove s'accendono
quegl'odor ch'in alto ascendono.
Coro di Virtù celesti mostrando corone e palme
A virtù rara
di nobil alme,
il ciel prepara
corone e palme;
per breve guerra
gioir eterno
nel ciel superno
gode la terra,
e ne divien la morte
varco felice alla stellata corte.
(La nuvola della Religione, già sollevata in alto, si nascose)
Coro di Cavalieri partendo
Su tutti all'armi, tutti alle sponde,
tutti all' imbarco, suona la tromba-
udite il grido che ne rimbomba;
placido è il vento, tranquille l'onde;
udite il suon de' bronzi, udite il grido:
cavalieri, all'imbarco, al lido, al lido!
(S'udì strepito di artiglierie).
SECONDO INTERMEDIO
Coro di contadini e contadine
Le villanelle festose
in sì bel giorno
van per Liorno
coronate di rose.
Le villanelle festose
se 'n vanno de' sposi cantando,
e la cesta portando
di fiori e frutti ripiena:
Viva, viva Celindo ed Elisena.
O fortunata bellezza!
Di noi vicini
tuoi contadini
non sdegnar la bassezza.
O fortunata bellezza!
Noi lieti portiamo il paniere
con fresch'ova da bere,
con lieta front'e serena:
Viva, viva Celindo ed Elisena.
Il medesimo coro partendo
Ormai torniamo alla villa,
tutti contenti
spieghiamo accenti,
con la mente tranquilla
ormai torniamo alla villa.
Godiamo e la mancia portiamo;
Al poder ritorniamo,
colà farem lieta cena:
viva, viva Celindo ed Elisena.
Qui segue la Sinfonia, come anco alla fine di ogni atto perché si scorga la divisione di essi.
TERZO INTERMEDIO
Coro di Beoni
Su! cantiamo dolcemente,
su! beviamo, allegra gente!
Del vin possente
mira 'l colore,
senti l'odore
come dolce il la[b]bro alletta.
Se tu bevi, o giovinetta,
ogni mal fuggirà via:
per l'interna frenesia
questa, quest'è la ricetta.
Quel dolor ch'il cor saetta
dal tuo sen scacciar potrai,
bevi, bevi, e guarirai.
Vôto è il fiasco del vin bianco,
ecco io casco, io vengo manco,
io son già stanco.
Ma, nuova scorta!,
mi riconforta
quest'odor di mammoletta.
Prendi un vetro, o giovinetta,
passa il tempo ognor cantando;
per mandar la doglia in bando
questa, quest' è la ricetta.
Quel dolor che l'alma infetta
col buon vin scacciar potrai,
bevi, bevi, e guarirai.
Coro
Non cascare!
Sta' pur saldo!
Vo' scacciare
un sì gran caldo!
Messer Tebaldo,
sera e mattina
vostra cantina
a riber ciascun alletta.
Prendi, prendi, o giovinetta,
una tazza di Trebbiano
o l'ambrosia di Panzano!
Questa, quest'è la ricetta,
è provata ed è perfetta,
che fallir non suol già mai:
bevi, bevi, e guarirai.
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QUARTO INTERMEDIO
Coro di Giocatori disperati cantano:
Giuocator disperati
Lasso di noi che fìa!
Ah sventura, ah disdetta, ah sorte ria!
Ai dadi io persi
testoni ed ori-
o miei sudori,
tutti dispersi!
Quant' in Bona acquistai,
misero, in un sol dì persi e giocai.
Ma['] non vinsi una posta,
mai non venne un rincontro,
che fìa dunque di me?
Punti e zare scortesi,
pur negaste mercè:
ah gioco ingrato, che non tien fé.
Son già vòte le borse,
son cresciute le voglie,
ahi fortuna, ahi perfidia, ahi fiere doglie!
Giocando ardito
dall'alba a sera
persi a primiera
ciascuno invito.
Io la spada e il colletto
mi giocai per capriccio e per dispetto:
mai non giunse quel sette.
Mai non venne quel fante.
Mai non viddi quel re.
Ah! trent' un traditore
Ah! primiera, ah giulè;
Ah! gioco ingrato, che non tien fé.
Sconsolati compagni,
non ci vinca il dolore;
nel martir, nel soffrir, cresca il valore.
Corriamo in frotta ,
moviamo il passo
al nobil spasso
della pillotta.
Con ardir, con destrezza
a schermir, a parar ciascun s'avvezza;
là si scuopre la forza.
Là farem la partita
or a quattro, or a tre.
Su! stracciate le carte,
lungi i dadi da me:
lungi quel gioco che non tien fé.
QUINTO INTERMEDIO
Coro di marinari. oppure Coro di mercanti e schiavi riscattati cantano
Già scatenato è il piede,
tolt'è la servitù,
or, ch'io v'inciampi più
No'l farò, non a fé, pazzo è ch'il crede.
Chi ti percote e fiede,
chi ti fa sul mostaccio una ferita:
oh libertà gradita,
non ti stima e non t'apprezza
chi non provò di servitù l'asprezza.
Per esser troppo ingordo
persi la libertà,
ch'io porti merce in là,
messer no, signor no, qualche balordo!
Io rimasi un bel tordo;
la voglia d'arricchir m'è già partita.
Oh libertà gradita,
non ti stima e non t'apprezza
chi non provò di servitù l'asprezza.
Per ch'io scappar volea,
l'orecchie un mi tagliò,
il naso un mi mozzò.
Vedi qui, guarda qua, ah, gente rea!
D'avanzar mi credea,
ma la speranza mia restò tradita.
Oh libertà gradita,
non ti stima e non t'apprezza
chi non provò di servitù l'asprezza.
ULTIMO INTERMEDIO
Terminato l'atto quinto si vidde il Tempio dell'Eternità, dove Pallade conduceva i Guerrieri, che comparvero a principio e cantò i seguenti versi.
Pallade
Fatto di rèi tiranni orrendo scempio,
generosi guerrieri, ecco v'ho scórti
d'eternitate al glorioso tempio;
agl'armati sudori almi conforti
premio della virtù, porge l'Onore;
Io, vaga d'eternar vostro valore,
dell'alta mole alle colonne d'oro
appendo i vostri scudi e incido il nome
da stancar mille Atene e mille Rome.
Al volar del tempo instabile
l'aureo tempio unqua non struggesi
ch'il valor, che mai non fuggesi,
s'erge al ciel vie più mirabile,
nei gran petti ogn'or sì germina
né per morte ancor si termina.
La Pace, sola
La già felice Età
col vero Onor discende,
tra fide ancelle splende
il sol d'aurea beltà;
e'l secolo più fiero
conduce ad inchinarla ogni guerriero.
Ben si conviene a me
che son l'eterna Pace,
già superato il Trace,
unir con salda fé
l'età famose e belle
ond'ha l'Etruria ognor palme novelle.
Di guerrier virtù possente
richiamar la pace in guerra;
quel valor ch'in voi si serra
già domò barbara gente.
Or ben può l'età presente
rinnovar l'età dell'oro
per dolcissimo ristoro,
catenato il popol empio:
movete poi d'Eternitate al tempio.
In sì beato dì,
o generosi eroi,
vergini liete e voi,
venite a gioir qui;
e per mia gloria intanto
movete al ballo il piè, la voce al canto.
Segue il Ballo.
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